IL RISARCIMENTO DEL DANNO
Una delle principali valutazioni da compiersi è quella relativa al risarcimento del danno cui abbiamo diritto.
Quando ne abbiamo diritto?
La questione si pone:
- in tutti i casi in cui il nostro caro era semplicemente trasportato sull’auto o sulla moto coinvolta nell’incidente, o essendo conducente dell’auto o della moto non abbia avuto responsabilità in relazione all’accaduto (responsabilità esclusiva dell’altro), o ne abbia avuto solo in parte (concorso di colpa);
- nella maggioranza dei casi in cui sia stato investito come pedone o in sella alla propria bicicletta;
- nei casi di incidente aereo, navale o ferroviario;
- nei casi di infortunio sul lavoro;
- in ipotesi di incidente mortale in qualunque luogo pubblico o privato e per le più svariate ragioni, qualora l’evento possa ricondursi a responsabilità di terzi soggetti;
- in ogni caso di operazione chirurgica erronea, o in generale di negligenza e imperizia medica; qui bisogna fare molta attenzione e non lasciare la valutazione a semplici sensazioni, poiché anche in condizioni molto gravi (determinate da malattia o da incidente stesso) non è escluso che l’intervento chirurgico o l’attività medica avrebbe potuto salvare la persona amata.
A quanto abbiamo diritto
Si tratta di somme molto elevate, cui abbiamo diritto in qualità di prossimi congiunti o eredi. L’ammontare della somma che viene risarcita varia da caso a caso.
Si distingue tra danni che i prossimi congiunti della vittima subiscono in proprio (iure proprio), e cioè in quanto danneggiati (di riflesso) nella loro stessa persona, da quelli cui hanno diritto in qualità di eredi (iure hereditatis), e cioè subiti dal loro caro e ad essi trasmissibili.
IL “DANNO PARENTALE”
Si tratta del danno morale subito dai prossimi congiunti, e cioè la loro sofferenza.
E’ il profondo turbamento e il dolore che proviamo come conseguenza dell’uccisione di un nostro caro.
Per la determinazione del danno parentale i parametri in uso presso tutti i Tribunali prevedono una forbice tra un minimo e un massimo, costantemente aggiornati. Ora tra i 163.990,00 Euro ed i 327.990,00 Euro ove si tratti di coniuge, di persona convivente, di genitore o figlio; tra i 23.740,00 Euro ed i 142.420 ove si tratti di nonno o fratello.
Ciascuno dei congiunti avrà quindi diritto ad una somma, rapportata al grado di vicinanza con il defunto.
Per fare un esempio, in caso di morte del padre, sposato con due figli minori, la madre avrà diritto di agire per sé e per i figli e di ottenere approssimativamente sino ad 1.000.000,00 di Euro per il solo danno parentale.
La legge consente al giudice di modulare quei parametri in relazione alla particolare gravità del caso e all’incidenza che il lutto può aver provocato sul congiunto.
IL “DANNO PSICHICO” (O “VULNERA MENTIS”)
Al dolore può aggiungersi il “danno psichico”, laddove sussista una lesione più profonda della sola sofferenza morale. Il danno psicologico rappresenta un’alterazione dell’equilibrio di personalità provocata da un evento traumatico che limita in modo consistente il regolare svolgimento della vita quotidiana.
Ne è un esempio frequente la depressione da lutto.
La sua quantificazione è rimessa al medico-legale, che stabilirà in che percentuale deve determinarsi la lesione psichica, dalla più contenuta (ad es. il 10%) a quella più grave (tra il 90% e il 100%). La misura del danno è stabilita dalle tabelle in uso presso i Tribunali.
IL “DANNO CATASTROFALE E TERMINALE”
E’ fondamentale accertare quanto tempo sia passato dall’incidente o dalla diagnosi di una malattia al momento del decesso.
Il danno catastrofale è quello patito da chi sia deceduto dopo un periodo di tempo così breve da non consentire la risarcibilità del danno terminale, ma che abbia provato una gravissima sofferenza psichica essendo rimasta lucida durante l’agonia e in consapevole attesa della propria morte.
E’ sostanzialmente un danno morale, una sofferenza psichica di durata limitata ma di massima intensità.
Anche in questo caso il diritto al risarcimento è acquisito in vita dal defunto ed è quindi trasmissibile agli eredi.
Per “danno biologico terminale” si intende il danno alla salute patito dalla vittima nel periodo che è intercorso tra la lesione e la morte. Chi è sopravvissuto per un periodo apprezzabile a un evento e poi è morto in conseguenza dello stesso ha patito in tale periodo una menomazione della propria integrità psico-fisica.
Anche in questo caso il diritto al risarcimento è acquistato in vita dal defunto, è entrato cioè a far parte del suo patrimonio, ed è quindi trasmissibile agli eredi.
La sua quantificazione è legata al tempo in cui è rimasto in vita.
IL “DANNO PATRIMONIALE”
Oltre alle spese funerarie, i prossimi congiunti hanno diritto al cosiddetto danno da “lucro cessante”, e cioè alla perdita della quota di reddito che il defunto destinava loro in vita e avrebbe plausibilmente continuato a destinare per un certo periodo o per l’intera vita stessa. E’ evidente che in questo caso la misura del danno varia a seconda della misura del reddito percepita, della durata dell’obbligo di assistenza, dell’età di chi è deceduto e di quella del congiunto rimasto in vita.
Nell’ipotesi di morte di un genitore, ad esempio, i figli avranno titolo ad ottenere quella parte di reddito che era necessaria al loro sostentamento, sino a quando i gli stessi non avranno raggiunto la piena indipendenza economica.
Ma pensiamo anche ai casi di decesso di un figlio, del coniuge, del convivente, del nonno o del fratello, che in vita contribuivano al nostro mantenimento.
Il danno è rappresentato da una somma attuale, che è il risultato di un calcolo attraverso il quale viene “capitalizzata” la quota di reddito che era destinata a noi per tutto il periodo cui ne avremmo avuto diritto; un po’ come riscattare una rendita assicurativa in un’unica soluzione.